Recentemente si parla molto… forse troppo… sicuramente troppo spesso a sproposito di Mastino Tibetano.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Del leggendario Mastino del Paese delle Nevi si è favoleggiato per secoli, poi sono giunti in occidente i primi rari soggetti, allevati con risultati che hanno fatto molto
discutere studiosi, allevatori e appassionati; interminabili diatribe tra coloro che sostenevano la validità dei prodotti dell’allevamento europeo, e chi invece si è sempre dichiarato insoddisfatto e deluso dalla
divergenza tra i cani presentati sui ring delle esposizioni e quelli sognati sulla base delle descrizioni di chi ne aveva conosciuto la forma originale in quelle terre remote e di non facile accesso. La particolare e
senz’altro difficile situazione socio-politica della regione tibetana nella seconda metà del XX secolo, poi, non ha certo favorito la possibilità di disporre in occidente di sangue “originale” da utilizzare in
allevamento, e tanto meno esistevano le condizioni perché la razza potesse essere apprezzata e tutelata in Cina; tuttavia, da quando ci si è resi conto che la storia cinese recente era giunta ad una svolta decisa in
ambito economico e sociale, non è stato sicuramente difficile immaginare l’ovvio, cioè che se qualche allevatore cinese si fosse interessato alla razza, avrebbe potuto attingere all’inestimabile patrimonio genetico costituito dai cani nonostante tutto ancora presenti nelle terre d’origine. Così è stato. Quello che era difficile prevedere è l’incredibile successo riscosso dalla razza nella Repubblica Popolare Cinese…
elevata a status symbol dei nuovi ricchi, mitizzata al punto da immaginare il Mastino protagonista di
antiche leggende che non lo riguardano…e (quasi inevitabilmente ?) plasmata e adattata al gusto cinese,
verso il modello idealizzato dello Zangao.
Tibetan Mastiff, Zangao, Do Khyi… quanti Mastini Tibetani esistono ? Ne esiste uno solo, e ne esistono
decine di tipologie. I diversi nomi sono tutti sinonimi per indicare il “nostro” Mastino del Tibet, ma
esprimono diversi punti di vista, o forse diverse modi di interpretare la razza. Avere ben presenti i
concetti collegati ai diversi termini è importante per riuscire ad avere una migliore visione sulla situazione
della razza.
In un brevissimo riassunto dei concetti essenziali, bisogna partire dal DoKhyi , letteralmente “Cane
legato”, che è il termine tibetano che indica il “cane da guardia”. Non si tratta quindi del nome proprio
della razza, perchè i tibetani (come la maggior parte delle società rurali) non distinguono i cani sulla base
di più o meno ben definiti standard morfologici, ma sulla base della loro funzione. E’ però sbagliato
credere che ogni cane da guardia in Tibet sia da ritenersi un M.T. Già i viaggiatori (per lo più inglesi) del
XIX secolo hanno descritto e distinto il “tipo pesante e molossoide” dal “tipo leggero” mentre i ricercatori
occidentali contemporanei parlano di tipo “da pastore” e tipo “da monastero” (sottintendendo le diverse
attitudini alla mobilità, maggiore nel tipo leggero da pastore e molto più ridotta nel tipo pesante più adatto
alla guardia degli edifici); gli esperti cinesi e tibetani allo stesso modo distinguono “il Mastino” dal
“grande cane tibetano”. Genericamente si può affermare che il tipo più leggero sia il più diffuso nella
parte meridionale del Tibet, la zona montuosa himalayana (tant’è che si parla talvolta di Cane da Pastore
Himalayano), ma in realtà questa tipologia è sempre stata presente in tutta l’area di influenza culturale
tibetana, frequentemente incrociata con il tipo pesante, molossoide, rendendo solitamente molto difficile
distinguere chiaramente le due varietà.
Naturalmente sul vasto territorio di influenza culturale tibetana si sono ben delineate precise tipologie,
che si distinguono dalle altre per caratteristiche fisiche e caratteriali, vere e proprie “razze naturali” o
“landraces”, che si possono però considerare “varietà locali” o “regionali” del generico Mastino Tibetano
originale.
Il territorio del Tibet “storico” è attualmente suddiviso in almeno 5 province cinesi: Xizang (la cosiddetta
Regione Autonoma Tibetana), Qinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan. A parte (forse) l’estrema regione
meridionale dello Yunnan, su tutto questo immenso territorio -che si estende per 2,5 milioni di chilometri
quadrati, un quarto dell’intera Cina, dalla catena himalayana ai deserti ed alle steppe mongole- sono da
sempre presenti cani chiaramente riconducibili alla definizione di Mastino Tibetano. Lo stile di vita
nomade di molti tibetani, e la loro forte e tradizionale vocazione al commercio hanno facilitato la
circolazione dei loro animali. La molteplicità degli ambienti geografici e climatici del territorio (dalle
valli fertili ai deserti, dalle pendici himalayane agli altopiani) hanno ovviamente operato una selezione
naturale che ha caratterizzato le diverse varietà locali. Non è ancora stato pubblicato un vero studio
scientifico sulle tipologie di Mastino Tibetano, ma sarebbe una assurda banalizzazione credere
all’esistenza di un solo tipo di Mastino su un territorio nel quale sono state ufficialmente riconosciute non
meno di 12 razze locali di yak; e neppure è verosimile proclamare la superiorità di una qualsiasi tipologia
sulle altre.
Le affermazioni circa la presunta “superiorità” di una varietà rispetto alle altre non trovano riscontro in
quanto asserito da fonti tibetane, e sono riconducibili per lo più a “campagne pubblicitarie” lanciate da
allevatori (cinesi ma soprattutto occidentali) a sostegno di bizzarre teorie sull’eccellenza delle proprie
linee di sangue, riferendosi talvolta ai cani dello “Tsang” (il termine stesso è usato impropriamente per
indicare la regione di Lhasa), talora ai soggetti provenienti dal Qinghai.
Nel corso di ripetuti viaggi in Cina effettuati tra il 2005 ed il 2011, abbiamo discusso l’argomento con
innumerevoli conoscitori del M.T., allevatori e studiosi, sia di etnia tibetana che cinese. A parte rarissimi
casi di sostenitori di bizzarre teorie come quelle sopra citate (si è sempre trattato di allevatori interessati
più alla vendita dei propri cani che allo studio della razza), le informazioni raccolte concordano
sull’esistenza di non meno di 4 maxi-aree di provenienza di 4 distinte tipologie, individuabili nelle zone
della prefettura di Lhasa, del territorio denominato Hequ (tra Qinghai e Gansu), della prefettura di Yushu
(Qinghai meridionale), e di una parte dello Yunnan. Ciascuna di queste zone ha contribuito alla
formazione dello Zangao, cioè il prodotto del lavoro di selezione avviato circa 25 anni or sono da alcuni
pionieri (tra i quali non possiamo non citare il sig. Wang Zhankui, non a caso unanimemente riconosciuto
come “Padre dello Zangao”) che per anni hanno viaggiato tra disagi e grandi sforzi, alla ricerca di quei
soggetti dotati delle caratteristiche volute tra tutti quelli incontrati nei territori tibetani.
Le testimonianze dei protagonisti di questa ricerca, e la documentazione fotografica relativa, dimostrano
(casomai ce ne fosse bisogno, perché basterebbe un po’ di buonsenso cinofilo per capirlo) come i soggetti
rustici, trovati in ambito rurale fossero molto distanti da molti attuali Zangao, che pure sono considerati
soggetti di altissimo valore.
E’ giustissimo riconoscere agli allevatori cinesi il merito di aver saputo in pochi anni compiere un lavoro
di selezione assolutamente apprezzabile, ma è doveroso ammettere che questo lavoro non è assolutamente
-al contrario di quanto si è sentito affermare- un’opera di protezione e salvaguardia di un tipo originale,
bensì una -peraltro legittima- attività di selezione e “creazione” di un cane che si avvicina ad un modello
idealizzato e assolutamente adattato al gusto cinese, conforme agli ideali ed ai canoni di bellezza -fisica e
caratteriale- degli allevatori contemporanei, ben diversi (e non potrebbe essere diversamente) da quelli
dettati dalle esigenze di sopravvivenza ed utilità dei cani originali. Incontestabile e ammirevole è il fatto
che in pochissimi anni si sia delineato un modello abbastanza preciso, e nel giro di un brevissimo tempo
la produzione dello Zangao sta raggiungendo un livello di omogeneità invidiabile. Certo, sarebbe assurdo
negare l’esistenza di allevamenti e di cani che sarebbe persino riduttivo classificare come scadenti, o
perlomeno opinabili, per la qualità intrinseca dei soggetti o per più o meno palesi indizi di meticciamento.
Casomai fosse necessario farlo, è bene ribadire che tutto questo discorso non vuole assolutamente
denigrare o criticare lo Zangao , il lavoro degli allevatori che lo hanno prodotto, e nemmeno
l’importanza di questi cani nella selezione occidentale; è altrettanto corretto però smentire la falsità sia di
quei discorsi volti ad assimilare senza le dovute distinzioni lo Zangao contemporaneo al Mastino allevato
dal popolo tibetano nel corso di molti secoli, sia di quelli che proclamano senza indugio l’assoluta qualità
e superiorità di qualsiasi cane proveniente dalla Cina. Probabilmente simili affermazioni avventate da
parte di qualche proprietario di Zangao derivano dal timore di vedere sminuito il proprio prestigio, ma
quello che nuoce di più alla razza è proprio la scorrettezza e la superficialità nell’informazione. E si potrà,
anzi si dovrà parlare di dichiarazioni superficiali fino a quando non verranno rese note eventuali fonti e
documenti che attestino in modo serio l’esistenza di un certo tipo di cane prima dell’intervento di una
selezione moderna.
Nel frattempo, in occidente si sono allevati cani a partire dal materiale a disposizione, cioè perlopiù cani
di importazione dalla zona himalayana, nepalese o indiana, dove come già accennato è predominante la
tipologia leggera, con rarissimo apporto di sangue originale tibetano (in anni a questo punto remoti,
precedenti la chiusura ormai pluridecennale del paese) e più recenti immissioni di linee di origine
taiwanese e cinese.
A proposito dei primi cani importati dal Tibet, può essere curioso aprire una parentesi su un caso che di
tanto in tanto viene citato, solitamente nelle discussioni riguardo al carattere, argomento che merita
grande attenzione e che per questo per il momento non affronteremo qui. A sostegno della teoria sulla
presunta indomita ferocia dei cani tibetani, si richiama sovente l’esempio di quei soggetti portati in
Europa e rinchiusi negli zoo a causa del carattere ingestibile, indicandoli come rappresentanti del vero
Mastino tibetano da preservare; ecco dunque la foto di una di queste “belve”, condotto in Germania nel
1939 e custodito allo zoo di Berlino. Ciascuno può trarre le proprie conclusioni sulla somiglianza con gli
attuali Zangao cinesi…
Tornando ad un discorso più concreto, nel caso dell’allevamento europeo, il modello ufficiale è (o
dovrebbe essere?) quello dello Standard di razza del Tibetan Mastiff, tracciato sull’esempio dei cani
presenti in Europa sul finire del XX secolo (quello attualmente in vigore risale al 2004), non a caso ben
diverso dal primo standard di razza di oltre un secolo prima, che descriveva cani importati dalle terre
d’origine. Cani sicuramente diversi dal Tibetan Mastiff descritto dallo standard attuale, ma altrettanto
diversi dal “modello cinese” contemporaneo, del quale, lo ripetiamo, non risulta esistere testimonianza o
rappresentazione storica accurata.
Certo, non mancano né in Oriente né in Occidente alcuni allevatori che per passione orientano le loro
scelte verso la ricerca del tipo di cane che più si avvicina ai modelli che hanno potuto vedere ed
immaginare con i loro studi sulla razza; inevitabilmente il rischio è quello di essere pesantemente
penalizzati in ambito espositivo, dove il giudice dovendosi attenere allo standard non può che sfavorire
soggetti magari molto più interessanti agli occhi degli appassionati, a partire dagli stessi Zangao cinesi.
Tuttavia qualche allevatore ha saputo selezionare in modo molto attento, ottenendo dal materiale a
disposizione soggetti molto vicini alle numerose testimonianze iconografiche del tipo originale.
Difficile, forse impossibile decidere quale debba essere il modello ideale cui aspirare: il Tibetan Mastiff
occidentale è probabilmente da ritenersi una ricostruzione parzialmente artificiosa ma più vicina di quanto
ci si aspetti (sicuramente nell’aspetto, se non nel patrimonio genetico) ai cani tibetani; lo Zangao sarebbe
da ritenere un prodotto altrettanto artificioso, costruito a partire da materiale molto più valido, ma con
l’attenzione rivolta più ad un ideale estetico che alla fedeltà storica; il Do Khyi originale, ammesso che se
ne trovino ancora in numero sufficiente, data l’attenzione con cui sono stati ricercati, potrebbe essere il
punto di riferimento più interessante…ma probabilmente deluderebbe gran parte degli appassionati,
perché il suo fascino reale è più in quello che i cinesi chiamano “anima” o “bellezza interiore”, piuttosto
che nelle forme e nelle dimensioni.
Il Mastino Tibetano, custode e difensore della gente tibetana per molti secoli, nel nostro tempo avrà
bisogno di essere tutelato: tutelato per quanto possibile nella terra che lo ha visto nascere, e tutelato nel
resto del mondo, allevato con cura e rispetto, evitando ogni fanatismo ed esasperazione dettata dalle
mode, soprattutto evitando che per assurdo il fanatismo venga spacciato per tutela della razza, come
capita di sentire.
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